Ibrahimović. La sua rivincita tra calcio e filosofia

07.11.2012 11:31

Qual è lo spirito giusto per vincere? Quali sono le condizioni migliori per diventare un grande calciatore?

In primo luogo il talento. Il secondo ingrediente fondamentale è la giusta motivazione nel perseguire un obiettivo. Altri aspetti, indubbiamente fondamentali, sono il carattere e le giuste opportunità.

Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto può risultare banale dire che le storie e le vicissitudini delle grandi stelle del calcio sono differenti: ognuna di queste prende forma avendo come sfondo una precisa condizione.

Storie diverse, dunque. Storie che racchiudono, entro i propri confini, un’altra storia.

Ognuna delle quali conserva esperienze di vita, sentimenti e specifiche occasioni.

Ognuna delle quali meriterebbe il proprio spazio.

Ognuna delle quali segue una propria filosofia.

Quali sono state le opportunità di Zlatan Ibrahimović? Ciò che lo ha circondato da bambino è stato per lui un ostacolo o la molla necessaria, in quelle specifiche condizioni, per emergere?

Zlatan comincia a giocare a calcio nella sua Rosengård. È quello il suo inizio.

È lì che inizia a formarsi il suo carattere: la sua natura prende forma. Un’indole, la sua, amata e odiata.

Una tempra che niente e nessuno sembra scalfire. Nel suo libro Io, IBRA i ricordi di una famiglia divisa si intrecciano con il suo rapporto d’amore con il calcio. E come ben si sa, ogni rapporto di vero amore implica anche il sentimento opposto. Zlatan, nel suo libro, ripercorre tutta la sua carriera, le difficoltà, le panchine vissute con tanta rabbia. La rabbia di non poter entrare in campo; la rabbia di non poter dimostrare il suo valore e ciò che aveva imparato: una tecnica traboccante di emozioni. Una forma di “arte”. La sua arte personale.

Schopenhauer in Il mondo come volontà e rappresentazione (libro IV) dice che <<la felicità non è mai originaria né ci viene spontaneamente, ma si deve sempre alla soddisfazione di un desiderio. Il desiderio, la privazione, sono infatti condizioni preliminari di ogni piacere>>. Le privazioni di Ibra si sono trasformate in forza, coraggio, motivazione. L’assoluta mancanza di bisogni non è in sé auspicabile, perché la volontà, che si presenta come l’essenza del reale, non saprebbe più verso cosa indirizzarsi. Ciò che si presenterebbe sarebbe una condizione di noia. Il pessimismo schopenhaueriano ci suggerisce l’idea di un’esistenza umana in cui il dolore prevale sul piacere. Il filosofo tedesco propone tre vie per liberarsi dalla volontà, dal dolore: arte, morale, mortificazione.

L’arte, che noi identificheremo con il calcio, per Zlatan è una forma di conoscenza attraverso cui liberarsi dalla volontà, dai “pugni” presi da bambino. Il pallone, probabilmente, ha rappresentato per lui la prima forma di contemplazione. Contemplazione attraverso la quale Ibra  non si è limitato a considerare le cose nella loro individualità, ossia per come apparivano nel mondo empirico, ma è andato oltre.

Ha considerato il calcio come la manifestazione di un’idea precisa. Ciò gli ha assicurato una certa pace.

La rabbiosa pace che gli ha dato la forza di raggiungere il suo obiettivo: diventare un buon calciatore e una persona che, grazie al suo trascorso, è capace di apprezzare davvero la vita, nella sua forma spirituale e non solo materiale. Le Ferrari e le Porsche sono solo la diretta conseguenza del successo; esse non pregiudicano, di certo, la morale di Zlatan.

La morale di una rivincita sulla vita, la sua rivincita.